ARTICOLI SUI ROTOLI DI QUMRAM E LA SETTA DEGLI ESSENI

venerdì 21 agosto 2009

GLOSSARIO DEI TERMINI EBRAICI

GLOSSARIO DEI TERMINI EBRAICI



Ab - Abòt. Padre. Padri
Adar: Dodicesimo mese del calendario ebraico corrispondente al periodo lunare febbraio-marzo. Sette volte in diciannove anni, con cadenza irregolare, adar si sdoppia creando un tredicesimo mese per riallineare il calendario ebraico (su base lunare) al calendario solare, così che la festività principale, Pèsach, possa essere celebrata sempre in primavera.
‘Alaw ha-shalom: Su di lui sia la pace.
‘Aliyyah (lett. “salita”): Termine comunemente usato per indicare la “salita” a Gerusalemme o in Terra d’Israele; designa anche la salita alla tribuna (bimà) per la lettura in sinagoga. Designa oggi anche l’ immigrazione degli ebrei della Diaspora nella Terra di Israele.
‘Al ha-nissim (lett. “per i miracoli”): Preghiera che si recita il primo giorno di Chanukkà.
Amen (pronuncia yiddish omeyin): “Così sia!” È usato nell’ebraismo, per approvare un’esortazione alla lode ed alla benedizione, oppure per sottolineare un’imprecazione. Questa parola fu più tardi adottata dal cristianesimo e dell’islamismo nelle loro funzioni religiose.
Amorà - amoraim così venne chiamato, al tempo dei Tannaim in epoca talmudica (dal III al VI sec. e.v.), il "dicitore" in aramaico della Mishna, insegnata dal Tanna in ebraico. Divenne l'appellativo dei rabbini studiosi del Talmud, che appunto commentarono in aramaico la Mishna, dando vita al Talmud. Il periodo di attività degli ‘amoraìm è generalmente diviso in 8 generazioni.
Antisemitismo: parola coniata nel 1879 da Wilhelm Marr, giornalista tedesco che aveva in odio gli ebrei. L'accezione originaria è "avversione agli ebrei"; oggi ha più il significato di "pregiudizio verso gli ebrei."
Apiqoros (pl. apiqorsim; lett. “epicureo”): Eretico.
‘Aqedà (lett. “legamento”): Il modo con cui viene legata la vittima per il sacrificio. Per estensione indica l’episodio biblico del sacrificio di Isacco richiesto da Dio stesso ad Abramo (Genesi 22).
‘Aravà: Salice. Vedi Lulav.
‘Arelim: Gli incirconcisi, i pagani.
Ariano: nella sua accezione originaria, il termine indica le popolazioni iraniche e quelle indiane di origine indoeuropea; dai nazisti esso fu indebitamente esteso a tutti i popoli di lingua indoeuropea, in particolare a quelli germanici (passando quindi a indicare persone di pelle bianca di tipo nordico), e assunto a sinonimo di razza pura e superiore in opposizione a ogni altra razza.
Aron ha kòdesh (lett. “arca”): È l’armadio, di solito riccamente ornato, che nelle sinagoghe custodisce i rotoli della Torà. È così chiamata per analogia con l’Arca Santa, che conteneva le Tavole della Legge. Nelle sinagoghe della diaspora è posta sulla parete rivolta verso Israele, mentre in Israele su quella rivolta verso il monte dove sorgeva il tempio. Questi armadi, detti anche "Arca santa", sono diretti sempre verso Gerusalemme. Quando l’armadio viene aperto, in segno di devozione, i fedeli si alzano in piedi.
Ashkenaz (lett. “Germania”): Termine usato dal XVI secolo per indicare gli ebrei dell’Europa centrale e orientale di origine germanica (ashkenazim). L’ebreo ashkenazita si differenzia dagli altri ebrei per alcune pratiche rituali, per il formulario liturgico, per la pronuncia stessa della lingua ebraica.
Atarà (Ataroth) Corona. Serve da abbellimento dei rotoli della Torah
Av: Quinto mese del calendario ebraico corrispondente al periodo lunare luglio-agosto.
Avodàh Zaràh - (Idolatria) Nel pensiero ebraico, con l’idolatria viene inteso ogni culto non rivolto all’unico e vero Dio. All’infuori del vero Dio, tutti gli altri dèi sono false divinità, e l’attribuzione di culto a tali false divinità costò spesso al popolo d’Israele molte pene e triboli. La Bibbia intende come idolatria anche l’attribuzione di un sesso alle divinità. Ne sono un esempio i Ba’al di sesso maschile e le Astarti di sesso femminile. Sono considerate idolatria anche le pratiche e le superstizioni sulle manifestazioni spontanee della natura, e la credenza a potenze divine, che operano in assoluta indipendenza.
Azaràh cortile del Tempio di Gerusalemme



Ba‘al Shem Tov (lett. “Signore del Nome Buono”): Isra’el Ben Eli‘ezer (1700 ca - 1760), fondatore del movimento chassidico dell’Europa orientale. Emblema del perfetto osservante.
Ba‘al teshuvà (lett. “Signore del ritorno”): Pentito, detto dell’ebreo che torna all’osservanza o del peccatore che si ravvede.
Bar (aramaico): “Figlio”, vedi Ben.
Barakà (benedizione) È l'espressione con la quale nel giudaismo è intesa un'offerta di gratitudine, che loda Dio per un beneficio ricevuto, oppure per un grande evento sperimentato.
Bar mizwà (lett. “figlio del precetto”) Espressione formata da BAR (figlio) e mitzwah (precetto). Con quest’espressione è intesa la cerimonia che secondo la tradizione, segna il raggiungimento dell’età a partire dalla quale l’adolescente diventa responsabile delle sue azioni. Infatti vien detto del ragazzo che compie la maturità religiosa (a tredici anni), assumendo diritti e doveri dell’adulto. Sta a indicare anche la cerimonia relativa, che si celebra in sinagoga, in cui il ragazzo per la prima volta davanti all’assemblea legge la Torah. A partire da quel giorno, il giovane che porta già sulla propria carne il segno dell’alleanza con Dio (Berith milah, la circoncisione), non dipende più da suo padre, ma diviene responsabile dei propri atti e se quindi se commette peccato, si rende passibile di castigo. La cerimonia viene svolta il primo sabato dopo il compimento del tredicesimo anno di età del giovane. I famigliari s’incontrano nella sinagoga, e durante la cerimonia il giovane è invitato a leggere per la prima volta la Torah.
Barekhu (lett. “benedite”): Formula liturgica di benedizione che introduce le preghiere del mattino e della sera, e la lettura sinagogale della Torà. Barekhu et-Adonay ha-mevorakh “Benedite il Signore degno di benedizione”. Barekhu et-Adonay ha-mevorakh le-‘olam wa-‘ed “Benedetto il Signore degno di benedizione per sempre e oltre”, è la risposta dell’assemblea.
Bat: Figlia.
Bat mizwà (lett. “figlia del precetto”): Cerimonia in cui la giovane ebrea, che ha compiuto i dodici anni, acquisisce lo statuto di “donna” e ne assume gli obblighi di carattere cultuale. È di recente istituzione e non è praticata in tutto il mondo ebraico.
Baygel (dal tedesco beugel, “pane rotondo fatto di farina bianca”): Il baygel era considerato una leccornia nell’Europa orientale, dove gli ebrei poveri mangiavano soprattutto pane nero.
Behemah (pl. behemot, “animale”): Ignorante, imbecille.
Ben (lett. “figlio”): Prima che i cognomi divenissero di uso comune, un ebreo era conosciuto tramite il suo nome e il nome del padre, per esempio: Yochanan Ben Zakkay. Talvolta si utilizzava bar, che è l’equivalente aramaico, per esempio: Shimon Bar Kokhba.
Berakhà (pl. berakhot): Benedizione.
Bereshìth Rabbà (Genesi Magna, abbr. BR) midràsh (v.) alla Genesi, redatto probabilmente alla fine dell’epoca degli ‘amoraìm (v.).
Berit (alleanza) Con questo temine si indica il particolare rapporto instaurato da Dio con il Suo popolo. L’alleanza sulla quale si basa la teologia ebraica, è quella conclusa tra Dio e Abramo - (Genesi 17:4), riconfermata poi con Isacco e Giacobbe, ma soprattutto quella stipulata con Mosè e con il popolo d’Israele sul monte Sinai - (Esodo 19 e segg.). Si tratta di uno scambio di promesse tra Dio (la terra promessa) ed il popolo d’Israele - (ubbidienza all’unico e vero Dio).
Berit milà: Patto della circoncisione. Si celebra nell’ottavo giorno dalla nascita di un figlio maschio e consiste nell’asportazione del prepuzio del neonato in memoria del patto stipulato tra Dio e il suo popolo (Genesi 17,11-12). In questa occasione viene imposto il nome. La cerimonia è prescritta anche per il convertito all’ebraismo.
Bet midrash: Casa di studio.
Bimà: Tribuna, podio dell’officiante nella sinagoga da dove si legge la Torà o si recitano le preghiere. Presso i sefarditi e gli italiani il podio è detto tevà.
Binà lett: comprensione. Uno dei tre poteri intellettuali primari.
Birkat ha-mazon: Benedizione del pasto.
Blintzes: Specie di frittelle ripiene dolci o salate, a base di farina e uova, di origine russa.
Bobemeise: In yiddish bobe “nonna” e meise, dall’ebraico ma‘aseh, “fatto”. Dunque, storia della nonna, ossia favola.
Borsht: (yiddish) Zuppa di barbabietole.




Cabbala: Vedi Qabbalà.
Chadas: Mirto. Vedi Lulav.
Challà (pl. challot): Pane a forma di treccia leggermente dolce che viene consumato durante i pasti dello shabbat. Si dice anche della porzione di impasto bruciata in memoria della decima spettante ai sacerdoti del tempio.
Chanukkà (lett. “dedicazione”): Festa delle luci, in memoria della riconsacrazione del tempio dopo la vittoria dei Maccabei sui greci nel 164 a.e.v. e la riedificazione dell’altare profanato. Si celebra dalla sera del 24 del mese di kislev al 2 del mese di tevet. Dura otto giorni, durante i quali si accendono progressivamente le otto luci della chanukkiyyà.
Chanukkiyyà: Candelabro a otto bracci, vedi Chanukkà.
Chassid (pl. Chassidim; lett. “pio”): Membro della corrente mistico-popolare (chassidismo) nata nell’Europa orientale del XVIII secolo per opera di Isra’el Ben Eli‘ezer (1700 ca - 1760) noto col titolo di Ba‘al Shem, o Ba‘al Shem Tov (Signore del Nome Buono).
Chassidismo. Ebbe l’enorme merito di aprire i segreti della spiritualità e della mistica alle classi d’ebrei meno colti e più poveri. Il Chassidismo faceva e fa uso di tecniche meditative molto potenti, ma anche di canto e danza, per arricchire la preghiera e la vita religiosa quotidiana. Tutt’oggi conta centinaia di migliaia d’aderenti, sebbene si sia suddiviso in molte scuole diverse.
Chavruta (compagnia). Termine usato per indicare il partner di studio del Talmud, che viene studiato in una forma dialogante, quindi con un compagno di studio (reale o . . . virtuale). L'importanza di questo "stile" nello studio del Talmud è espresso dal famoso detto talmudico: O chavruta o mituta, o compagno di studio o morte (dello studio, si intende!)
Chayà quarto tra i cinque livelli dell'anima: è l'anima vivente, la più elevata e vicina al divino
Chazzan: Funzionario sinagogale, principalmente addetto al canto, che assiste o sostituisce il rabbino nella liturgia.
Cheder (lett. “camera”): Si tratta del locale o della scuola primaria in cui una volta venivano insegnati l’ebraico e i rudimenti della religione. I bambini ebrei cominciavano lo studio della Torà dall’età di tre anni.
Chemdàth Jamìm (lett. delizia dei giorni) grande guida mistica alla vita ebraica, di ignoto autore palestinese del principio del XVIII sec.
Chérem nella Bibbia indica la consacrazione e l’interdetto; nel linguaggio rabbinico è la scomunica
Cheshwan: Ottavo mese del calendario ebraico corrispondente al periodo lunare ottobre-novembre.
chiddush rinnovamento, novità. Si riferisce ad ogni nuovo insegnamento che si rivela nel corso dello studio della Torah, come pure alla Torah stessa se raffrontata all'umano ragionamento.
Chokhmà: Saggezza. In senso ironico il termine chukhem, saggio, è anche usato per designare chi è completamente sprovvisto di saggezza. Uno dei tre poteri intellettuali primari.
Cholent (yiddish): Piatto tradizionale del sabato, fatto con fagioli, patate, carne, ossi, orzo e altri ingredienti. Viene cotto il venerdì per lo shabbat, giorno in cui è vietato cucinare e accendere il fuoco.
Chumash (lett. “cinquina”): Da chamesh, cinque, indica i libri di Mosè, cioè i libri del Pentateuco che compongono la Torà.
Cohèn / Cohanìm Nella lingua ebraica, Coen o Koan, significa, sacerdote. È la figura dell'intermediario che venne a stabilirsi tra i fedeli e Dio. I Koanim sono la discendenza di Aronne, quindi della tribù di Levi. Il loro compito era quello di regolare e dirigere i riti del tempio, custodirlo e curarlo, ma anche e soprattutto, parlare nel nome di Dio, cioè comunicare al popolo ciò che Dio voleva da essi. Con i secoli, il ruolo e la funzione dei Koanim divenne molto importante e la loro funzione divenne ereditaria. Il Kohen ha una serie di doveri e privilegi associati al culto nel Bet Hamikdash ed è tenuto a delle speciali regole di santità.





Dà'at Ragione, conoscenza; è anche la sfera spirituale della conoscenza
Dabar parola - fatto
Daven (yiddish): Pregare.
Derashà discorso
Devekùt unione (con D-o)
Diaspora (ebraico golà) È un termine di origine greca, con il quale vengono intesi tutti gli ebrei sparsi per il mondo. Si tratta qui di persone che per un motivo o l'altro, non possono vivere nella loro patria. La diaspora nacque dopo la dolorosa deportazione in terra babilonese. Ancora oggi, con questa espressione sono intesi gli ebrei che sono lontani da Israele, ma che curano uno stretto legame con la loro antica patria. Essi osservano il calendario e le festività ebraiche e vivono la loro vita religiosa seguendo gli stessi insegnamenti degli ebrei in Israele e nel mondo intero.
Dibbuq (lett. “possessione”): Spirito maligno o demone. È generalmente l’anima di una persona morta che non trova pace e penetra in una persona vivente. Nel folklore ebraico il dibbuq è una sorta di vampiro. È anche il titolo della più celebre pièce del repertorio yiddish di Sholem An-Ski del 1918.
Dreidel: Tremine yiddish per “trottola” (in ebraico sevivon), tradizionale gioco dei bambini in occasione della festa di Chanukkà.




Echàd Uno
Efà unità di peso corrispondente a circa 20 Kg.
Elul: Sesto mese del calendario ebraico corrispondente al periodo lunare agosto-settembre.
Emunà Fede
Èretz Israèl Terra di Israele.
Etròg Frutto del cedro. Una delle quattro specie di piante usate per la festa di Sukkòt




Farbrengen (yiddish): Lo stare insieme festoso.




Galut Bavel / esilio babilonese - Con questo termine sono indicate le deportazioni del popolo israelita in Babilonia.

587 a.C., i babilonesi distrussero Gerusalemme e deportarono gran parte della popolazione.

539 a.C., Babilonia fu occupata da Ciro di Persia. Sotto il suo regno fu emanato un edito, che permetteva il ritorno in patria a circa 50.000 ebrei. Organizzatisi, i reduci pensarono subito a ricostruire il tempio e ristabilire il culto all’unico Dio. Questa testimonianza di fede fu tanto grande, che affermatasi un’intensa vita ebraica, Esdra e Neemia poterono ritornare in patria e questa volta con una più consistente ondata di giudei.

Gan ‘Èden: Giardino dell’Eden. Secondo la credenza popolare ebraica, il giardino dell’Eden sarebbe situato fra il Tigri e l’Eufrate. È usato come sinonimo di Paradiso.
Geenna (in ebraico Ghe Hinnom): Stretta e profonda gola nella valle di Hinnom, sotto le mura dell’antica Gerusalemme, dove venivano gettati i cadaveri dei lapidati e le immondizie che bruciavano col fuoco perenne. Simbolo di castighi e tormenti eterni.
Gefilte fish: Piatto ebraico. Pesce (normalmente la carpa) ripieno di altro pesce macinato con spezie.
Gentili (parola di origine latina, per persone o nazione) Sostituiva l'espressione (abbastanza dura di: pagani). Durante l'epoca pre-cristiana, questo termine era usato riferendosi a persone non ebree. Dopo il sorgere del cristianesimo, con questa espressione si intendevano non-ebrei e non-cristiani.
Ghemarà (aramaico; lett. “conclusione” o “compimento”): Parte del Talmud che raccoglie le discussioni sulla Mishnà sviluppatesi tra i secoli IV-VI e.v. Si usa anche come sinonimo del Talmud nel suo complesso
Ghematria Il calcolo del valore numerico di una parola, ottenuta sommando i valori di ogni singola lettera. Secondo la Cabalà, termini che possiedono un identico valore numerico, sono collegati da una corrispondenza, anche se i concetti espressi da tali termini sono del tutto diversi. Si possono calcolare le ghematrie di interi versi, semplicemente sommando tutte le parole. Vi sono diversi modi di calcolare la ghematria di una parola o di una frase, e alcuni di essi sono molto complessi.
Gher - ghiorèt:straniero, straniera. Persona appartenente al popolo di Israel per aggregazione e non per nascita.
Gòlem: Materia o massa senza forma. Nella tradizione successiva indica un essere di creta animato dal nome di Dio e creato per la difesa e il servizio degli ebrei del ghetto. Il più famoso, oggetto di molte opere letterarie, è quello attribuito a rabbi Loew di Praga nel XVI secolo.
Goy (pl. goyim) Il non ebreo, il gentile. Questo termine ebraico significa genericamente popolo e nella Bibbia (Esodo 19:6) è applicato anche al popolo d’Israele. Più tardi, quest’espressione fu usata per indicare i popoli stranieri, coloro che non appartenevano alla nazione ebraica.
Goyshkeit (yiddish): In generale la cultura non ebraica o gentile.
Gvèret: Signora.




Haftarà (pl. haftarot): Una delle sezioni in cui sono divisi i libri profetici della Bibbia ebraica in vista della lettura liturgica settimanale di ogni shabbàt. Le corrispondenti sezioni della Torà sono dette parashot (sing. parashah).
Haggadà: Racconto, narrazione. Genere letterario che comprende i testi narrativi della tradizione rabbinica. In particolare indica il testo che narra dell’esodo dall’Egitto e che viene letto durante il sèder.
Hakafà - hakafòt (circuiti, giri) Le danze che si fanno con i Rotoli della Torah durante la preghiera al Bet Hakenèsset in occasione delle feste di Sheminì 'Atzeret e di Simchàt Torah
Hakhsharà: Fattoria-scuola, dove si svolge l’addestramento sia pratico (soprattutto al lavoro agricolo) sia intellettuale in preparazione all’emigrazione in Terra d’Israele.
Halakhà (lett. “via”): condotta, comportamento. La parte normativa della Torà scritta e orale. Materiale giuridico dell’insegnamento della tradizione. Insieme di norme che regolano la vita quotidiana. Esso veniva trasmesso oralmente da generazione generazione, ma fu poi scritto e divenne parte della Mishnah e del Talmud. All’Halachà si contrappone l’Haggadah (narrazione) che comprende l’omiletica, le narrazioni, leggende e sentenze.
Halvah: Torrone morbido fatto con semi di sesamo.
a-motzi’ (lett. “colui che fa uscire [il pane dalla terra]”): Benedizione sul pane prima del pasto.
Ha-Shem (lett. “il nome”): Sostituto reverenziale del nome divino Jhwh.
Ha-Shomer ha-Tza‘ir: Giovane Guardia. Movimento giovanile ebraico di sinistra particolarmente impegnato nella creazione e difesa anche armata del kibbutz, attivo prevalentemente tra il 1909 e il 1920. Le sue funzioni furono assorbite successivamente dalla Haganà. Attualmente si tratta di un movimento giovanile di sinistra particolarmente legato al kibbutz.
Hatikva (speranza) La vita del popolo d'Israele era un'esistenza condotta nella continua speranza dell'aiuto divino. Un aiuto che si manifesta attraverso l'intervento di Dio, nei periodi di prove, lotte e sofferenze che il popolo attraversa. Questa speranza viene descritta ripetutamente in tutto l'Antico Testamento e soprattutto in modo poetico nei Salmi. È un continuo sperare che non si limita all'occasione del bisogno, ma che attraversa la storia del popolo ebraico fino a giungere nella terra promessa ed alla fondazione dello stato d'Israele
Havdalà (lett. “separazione”): Cerimonia di chiusura dello shabbat che distingue il tempo sacro da quello profano.




Ìmma Madre
Ish Uomo
Ishà Donna
'ivrì Termine largamente diffuso, prima dell'esilio babilonese, per indicare gli ebrei
Iyyar: Secondo mese del calendario ebraico corrispondente al periodo lunare aprile-maggio.




Kapparòth (lett. espiazioni) rito della vigilia di Kippùr (v.) nel quale un gallo o una gallina vengono fatti girare intorno al capo, a scopo espiatorio
Kashem (yiddish) Cereali macinati con i quali si cucina una specie di polenta di contorno.
Kasher (lett. “adatto”): Detto di ciò che è conforme alla kasherut, cioè alla norma biblica, contenuta principalmente nel libro del Levitico, e rabbinica sulla purità dei cibi permessi, sul modo di cucinarli e servirli. È relativa anche ai tessuti, ai libri sacri, utensili ecc. Per ciò che riguarda gli animali sono considerati puri i quadrupedi ruminanti dallo zoccolo biforcuto (ovini e bovini); i pesci dotati di pinne e squame; e i volatili non rapaci. In senso lato: in possesso dei requisiti richiesti secondo un dato standard, quindi qualificato, adatto ad inserirsi in un dato sistema. Il procedimento che conferisce o verifica il possesso di tali requisiti si chiama hechsher. Persone qualificate, che si attengono a tutte le regole stabilite dalla Torah, sono chiamati kesherim.
Kasherut: Vedi kasher.
Keneset ha-ghedolà - Grande Assemblea - Quest'espressione risale all'assemblea del popolo dei tempi di Esdra e Nehemia. Essa era formata da centoventi membri, che non solo si affaticavano a fare rispettare la Toràh, ma fino al secondo secolo a.C. fissarono anche le forme liturgiche più importanti. Secondo la tradizione ebraica, Keneset ha-Ghedolàg dovrebbe essere la continuazione di tale assemblea, praticata attraverso i secoli anche dai rabbini. Attualmente, con l'espressione Keneset si intende oggi l'attuale parlamento dello Stato d'Israele.
Ketuvim (lett. “scritti”): Terza parte della Bibbia ebraica comprendente gli agiografi: Salmi, Giobbe, Proverbi, Rut, Cantico dei cantici, Ecclesiaste (o Qohelet), Lamentazioni, Ester, Daniele, Esdra-Neemia, Cronache. Il canone ebraico divide i libri dell'Antico Testamento in tre gruppi:

La Torà, cioè i cinque libri di Mosè: Genesi, Esodo, Levitico, Deutoronomio e Numeri

I Profeti (Nebiim) ed i

Ketubim, cioè i testi agiografi, dei quali fanno parte: Ruth, Cronache, Nehemia, Ester, Giobbe, Salmi, Proverbi, Ecclesiaste, Cantico dei Cantici, Lamentazioni, Daniele

Khelm Città della Polonia nella quale gli ebrei ashkenaziti hanno vissuto per più di mille anni. Nella tradizione ebraica occidentale a Khelm si incarna il pantheon dell’imbecillità; è la città dei Khelmer Narunim, gli sciocchi che si ritenevano dei saggi.
Kibbud av: L’onorare il padre.
Kibbutz (Raggruppamento) Si tratta dell’insediamento collettivo degli ebrei in Israele. Nei Kibbutz non esiste la proprietà privata, la vita si svolge in forma comunitaria, tutti godono gli stessi diritti e vivono dei prodotti del lavoro comune, generalmente prodotti agricoli. I primi Kibbutz risalgono al 1909.Più tardi si riunirono secondo le loro ideologie, formando delle federazioni. Ancora oggi i Kibbutz rappresentano il ramo più importante dell’economia agricola israeliana.
Kiddush - Benedizione sul vino
Kippà (yiddish, yarmulka): Zucchetto. Copricapo tipico degli ebrei, portato in sinagoga e in altri luoghi sacri, come un cimitero, e costantemente indossato dagli osservanti.
Kippur: “Espiazione”. Vedi Yom Kippur.
Kislew: Nono mese del calendario ebraico corrispondente al periodo lunare novembre-dicembre.
Kol nidrè (aramaico, in ebraico kol nedarim, lett. “tutti i voti”): Formula di annullamento dei voti cantata in apertura dello Yom Kippur.
Krepl (yiddish, pl. kreplach) Sorta di ravioli ripieni di carne, serviti in brodo.
Kuti - Kutit samaritano. Appartenente a uno di quei popoli introdotti in Eretz Israel dagli Assiri per popolare quelle regioni restate disabitate dopo la deportazione delle Dieci Tribù. La loro successiva conversione all'ebraismo fu considerata dubbia, la loro osservanza dei precetti restò parziale mentre molti usi pagani furono da loro conservati.




Ladino: Una varietà dello spagnolo castigliano del XV secolo con molte parole ebraiche e arabe, parlato dagli ebrei espulsi dalla Spagna nel 1492 e tuttora usato soprattutto nei paesi del Mediterraneo orientale.
Latkes (yiddish): Frittelle di patate che gli ebrei ashkenaziti consumano in occasione della festa di Chanukkà.
Le-chayyim (più comune le-chaim): “Alla vita!” È il brindisi che si pronuncia mentre si alza il bicchiere prima di bere del vino o un alcolico, l’equivalente di “Alla salute!”.
Luchòt Haberìt Le tavole della Legge, di pietra in forma cubica. Le parole erano incise in modo tale da perforare le tavole in tutto il loro spessore; il che rendeva possibile la lettura delle frasi da ogni lato.
Lulav: Fronda di palma (lulav). Durante la festa di Sukkot indica l’intero mazzo composto anche dal mirto (chadas), dal salice (‘aravà) e dal frutto del cedro (etrog).




Magèn David - Scudo o Stella di Davide. Questo esagramma o stella a sei punte, è formato da due triangoli equilateri, aventi lo stesso centro, ma che sono posti in direzioni opposte. Durante il triste periodo del regime nazista la stella di Davide fu il segno di riconoscimento imposto agli ebrei. Appare sulla bandiera d'Israele, come anche su molti prodotti e simboli in relazione con la nazione d'Israele.
Maftir (lett. “colui che conclude”): Designa il lettore che conclude la lettura sinagogale della Torà ripetendo gli ultimi tre versetti della parashà e leggendo la relativa haftarà.
Magghid Predicatore itinerante che aveva un ruolo assai importante nel mantenimento dei legami culturali e religiosi delle comunità ebraiche dell’Europa dell’Est. A piedi o su un carretto, andava di shtetl in shtetl per insegnare, predicare, raccontare, confortare; si dedicava anzitutto ai più poveri della comunità. I sermoni del magghid erano spesso inframmezzati da racconti e storielle improvvisate. Il magghid più celebre è il Grande Magghid Dov Baer, discendente del Baal Shem.
Mame (yiddish , “mamma, madre”): Padrona dell’universo, appena dopo Dio padre. “Una madre ebraica è anzitutto cento tonnellate al secondo d’amore zuccherato, infornate a forza nella gola dell’adorato bambino” (A. Sénik).
Mameloshen (dall’ebraico lashon “lingua”): Indica la lingua madre o lo yiddish stesso.
Marrano (in spagnolo “maiale”): È il termine spregiativo con cui i cattolici spagnoli del XVI secolo designavano gli ebrei convertiti forzatamente sotto l’Inquisizione e costretti al battesimo, ma che continuavano a praticare in segreto il loro ebraismo. Spesso costoro fuggirono in altri paesi più tolleranti, come il Nord Africa, l’Italia, il Nord America, i Paesi Bassi, la Turchia.
Mashìach: Consacrato, unto. All’origine, nell’Antico Testamento, designava i re (gli “Unti dal Signore”) e i sacerdoti. In seguito il termine indicò il Messia in senso proprio, la cui apparizione sarebbe la diretta anticipazione del “mondo a venire”. La traduzione greca è Christòs, da cui Cristo, “colui che è unto”.
Masorah Più noto nella nostra cultura con "Masoreti". La parola significa trasmettere o tradizione. Si tratta del nome dato ai dottori della legge, sia durante il periodo babilonese, come più tardi anche in Palestina. Furono essi che per regolare definitivamente la lettura della Bibbia, negli ultimi secoli del primo millennio fissarono in forma definitiva il testo biblico.
Massèket (lett. “trama, tessuto”): In generale, trattato, della Mishnà o del Talmud.
Mazal tov (lett. “buona stella”): Espressione di augurio.
Mazzà (pl. mazzot; yiddish, matze) È il pane azzimo, mangiato dagli ebrei nel periodo di Pèsach, la Pasqua ebraica. Infatti, durante questa festa non si deve consumare alcun cibo lievitato in ricordo del pane che gli ebrei, in fuga dall’Egitto nel XIII secolo a.e.v., mangiarono non potendo attendere che la pasta lievitasse.
Meghillà (pl. meghillot): Rotolo. Trattato della Mishnà che si occupa della lettura del libro di Ester durante Purim, varie letture sinagogali per lo shabbat o per altre festività e digiuni, e norme per la cura della sinagoga e degli oggetti rituali. Al plurale designa i cinque libri biblici del Cantico dei cantici, di Rut, delle Lamentazioni, di Qohelet e di Ester. Nel linguaggio popolare, “Non farne una meghillà” significa “Risparmiami i dettagli, vieni al sodo”.
Con l’espressione Meghillot o Megillot sono definiti in ebraico i seguenti cinque libri della Bibbia: il libro di Ruth, il Cantico dei Cantici, il Qohèleth, le Lamentazioni, ed il libro di Ester. Si trattava di rotoli, quindi il loro nome deriva dalla funzione che essi prendevano nelle feste. Essi infatti venivano presi in considerazione separati dagli altri libri, e venivano recitati durante le grandi feste della sinagoga.

Nel Shavuòth (festa delle settimane) viene letto il libro di Ruth
Per il Pessach (la Pasqua), si legge il Cantico dei Cantici
Per il Sukkòth, la festa delle Capanne, è di turno il Qohèleth
Durante il digiuno del 9 Av, si leggono le Lamentazioni (v. Tish‘à be-av)
Per la festa del Purim, il libro di Ester
Meil (Meilim) Tessuto con cui si avvolgono i rotoli della Torah.
Menorà: Lucerna. Si tratta del candelabro a sette braccia, presente nel cortile del tempio, che è divenuto emblema tradizionale dell’ebraismo e dello stato di Israele. Il candelabro fu costruito dagl’israeliti dopo la fuga dall’Egitto, durante i primi anni di pellegrinaggio trascorsi nel deserto. Esso era fatto d’oro massiccio ed aveva sette bracci. Fu posto prima nel tabernacolo e poi trovò sede nel tempio di Gerusalemme, costruito da Salomone. Secondo 1. Re 7:49, nel tempio di Salomone vi erano altri nove candelabri, che venivano accesi ogni sera. Però nel tempio ricostruito dopo l’esilio babilonese, vi ritroviamo un solo candelabro. Ritroviamo il candelabro anche s Roma, scolpito sull’arco di trionfo di Tito, che aveva distrutto il tempio e fatto preda dei suoi tesori.
Meshugghe (yiddish): Matto da legare, folle.
Mezuzà: Piccolo astuccio metallico contenente un pezzo di pergamena con passi biblici (Deuteronomio 6,4-9; 11,13-21) che, secondo l’applicazione letterale di Deuteronomio 6,9, è fissata allo stipite destro della porta di casa, come per consacrarla e indicare che è sotto la protezione di Dio. Con la parola Mezuzà si indicava lo stipite della porta. Ma poi col passare degli anni, l'espressione prese ad indicare la detta scatoletta
Midot - (Misure) Stando alla tradizione rabbinica, l'agire di Dio è regolato da due leggi, modi o misure (midot). Esse sono la giustizia e la misericordia. Nella sua sovranità, Dio agisce di volta in volta seguendo questi due principi, ma essendo Egli un Dio di misericordia, quest'ultima prevale spesso, poiché è conforme alla natura stessa di Dio, Colui che la Bibbia definisce "il Misericordioso".
Midrash (da darash “cercare”, “domandare”): Genere letterario che caratterizza l’instancabile attività di indagine della parola rivelata - risultato di una ricerca, da cui poi deriva il senso di storia. È codificata nel Tanak, e indica sia il metodo esegetico che la produzione letteraria relativa. I testi midrashici sono stati composti tra il II e il XV secolo e.v. e possono essere di carattere normativo (Halachà) volto a definire la legge e il comportamento od omiletico (haggadà) che cerca il senso della storia attualizzandola nella narrazione.
Milà: circoncisione Vedi Berit milà
Minchà La preghiera che si recita nel pomeriggio, in corrispondenza del sacrificio pomeridiano che si celebrava nel tempio.
Miniyan: Secondo l’ebraismo ortodosso, numero minimo di dieci maschi ebrei circoncisi e maggiorenni (dai tredici anni d’età) perché un servizio in sinagoga abbia carattere comunitario e non di semplice studio e commento delle Scritture. L’eventuale presenza di donne non contribuisce al raggiungimento del minyan. Nell’ebraismo riformato o progressista è richiesta la presenza di almeno dieci persone (maschi o femmine non importa, anche il rabbino può essere maschio o femmina) ebree maggiorenni.
Miqwè: Raccolta d’acqua naturale corrente contenente al meno quaranta sea (misura di volume in uso ai tempi della Mishna). Il bagno rituale che ogni fidanzata ebrea deve fare prima del matrimonio, e che le donne religiose fanno al termine del periodo mestruale e dopo aver partorito. Il miqwè è prescritto in numerose altre occasioni, come il rito di conversione all’ebraismo, e coinvolge anche gli uomini. Miqwè indica anche il locale in cui si adempie al precetto. Chiamato usualmente bagno rituale in quanto l'immersione in esso di cose e persone conferisce la purità rituale, tahara (v. tahor, tahara) Una vasca o una piscina ripiena di acqua attinta non costituisce un mikve.
Mishnà: Dal verbo ebraico che significa “recitare le lezioni”, “ripassare”. La Mishnà, che è il codice della tradizione orale, è divenuta una delle due parti del Talmud (la seconda, è la Ghemarà). La redazione finale della Mishnà risale alla fine del II secolo e.v. e comprende 63 trattati divisi in 6 ordini riguardanti la normativa cultuale, i rapporti sociali, il diritto civile e penale, il matrimonio ecc.
Mishpàt giudizio. Mishpatìm comandi per i quali è possibile trovare una spiegazione razionale.
Mitnagghed (lett. “oppositore”): Ebrei razionalisti, oppositori dei mistici e dei chassidim.
Mizwà (pl. mitzwot; lett. “comandamento”): Precetto contenuto nella Torà, indica anche la buona azione. Sono 613 i precetti della Tora, di cui 248 precetti positivi, 'ase, e 365 precetti negativi, lo ta'ase.
Modè anì: “Io Ti ringrazio”, prime parole della preghiera del mattino.
Mohel: Circoncisore. Vedi Berit milà.
Moshè rabbenu (lett. “Mosè, nostro Maestro”): Modo abituale di menzionare Mosè.
Musaf: Preghiera aggiuntiva del Sabato e delle festività. Originariamente era il sacrificio festivo aggiunto, offerto nel Santuario secondo la prescrizione di Numeri 28,9-15.




Nar(dal tedesco narr): Idiota, buffone.
Navì (profeta) - colui che parla a nome di un altro - veniva anche chiamato: uomo di Dio o veggente. Nella Bibbia questo incarico non è stato rivestito solo da uomini, infatti, nella storia biblica troviamo Mosè, Elia, Isaia, ma leggiamo anche di Debora, Huldà ed altre donne che furono rivestite di Spirito Santo. I profeti erano uomini e donne di Dio, che esprimevano il loro messaggio attraverso comunicazioni personali, predicazioni o azioni simboliche. Essi erano alla guida del popolo d'Israele, e spinti da Dio intervenivano in ogni questione morale, politica, religiosa, sociale o pubblica.
Nazir La parola nazir, mazireato, significa letteralmente: consacrarsi oppure astenersi. È l'espressione che veniva usata da coloro che volevano consacrarsi a Dio, attraverso un voto temporaneo oppure eterno. La decisione poteva essere presa dalla persona stessa, come anche da uno dei coniugi, oppure dai genitori stessi Le condizioni del voto sono chiaramente definite nella Torà, e coinvolgono principalmente l'astensione da ogni sorta di contaminazione, dal frutto della vite e dal tagliarsi i capelli. Un esempio pratico del nazireato lo troviamo nella vita di Sansone.
Nebekh (dal cèco neboky): Poveraccio, simile a shlemil (vedi).
Nefèsh - È l'anima più vicina al copro e lo nutre e il corpo le è unito strettamente
Ner Tamid - Luce eterna; si trova davanti all'Aron
Neshamà: Il terzo livello dell'anima. L'anima superiore.
Nevi’im: Seconda parte della Bibbia ebraica che raccoglie i libri dei Profeti: anteriori (Giosuè, Giudici, 1 e 2 Samuele, 1 e 2 Re); posteriori (Isaia, Geremia, Ezechiele e i dodici profeti minori: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Nahum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia).
niglè - nistàr i due aspetti, rivelato l'uno e segreto l'altro della Torah, che sono complementari.
Nisan: Settimo mese del calendario ebraico corrispondente al periodo lunare marzo-aprile. Dovrebbe essere il primo mese secondo un versetto della Torah; tuttavia nel computo tradizionale il primo mese è tishré
Nu: Intercalare yiddish, corrispondente circa al nostro “allora...”, “andiamo avanti...”




'Olàm mondo. Ha la stessa radice di 'elèm occultamento
Or En Sof Luce senza fine. È la rivelazione infinita di D-o. La Luce, nella letteratura cabalistica e chassidica è una metafora per la manifestazione dell'essenza di D-o
Oy: Una delle interiezioni preferite degli ebrei originari dell’Europa dell’Est. Si contano non meno di trenta espressioni di sentimenti esprimibili con lo oy: tra cui la sorpresa, la paura, la tristezza, la gioia, l’euforia, il sollievo, l’incertezza ecc.




Parashà (“sezione”): È la porzione settimanale del testo della Torà letto in sinagoga durante la celebrazione dello shabbat. Se ne completa il ciclo in un anno.
Pardès acronimo di Peshàt, Rèmez, Derush, Sod i quattro livelli di interpretazione della Torah (letterale, allegorico, morale, anagogico)
Pe’ot (lett. “riccioli”): Si tratta dei boccoli portati dagli ebrei ultraortodossi secondo le istruzioni di Levitico 19,27: “Non vi taglierete in tondo i capelli ai lati del capo, e non ti raderai i lati della barba”.
Perishaia - Farisei (aramaico) vuol dire forse: separati, o interpreti della Toràh. Si tratta del gruppo religioso del popolo ebraico, che impresse il suo carattere e la sua cultura sociale e religiosa sul giudaismo ufficiale. A quanto sembra, questo gruppo religioso che sorse probabilmente durante il periodo dei Maccabei, aveva uno stretto legame con il gruppo dei chassidim. I farisei credevano negli angeli, alla resurrezione dei morti e ad una futura retribuzione, ma erano molto più ricettivi dei sadducei, nei riguardi delle idee religiose non ebraiche, come quelle elleniche o persiane. Essi erano caratterizzati attraverso dallo zelo per la conservazione dell’ebraismo, attraverso l’osservanza meticolosa delle leggi religiose.
Pèsach (pronuncia yiddish Peysech): Pasqua, la più amata fra le feste ebraiche, che commemora la liberazione di Israele dalla schiavitù in Egitto, il cui racconto si trova nel libro dell’Esodo. Si celebra dal 15 al 21 (22) di nisan e prevede la consumazione di cibi non lievitati e la cena rituale del sèder.
Pilpul (da pilpel, pepe): Dibattito, argomentazione dialettica. Si tratta di una forma assai sofisticata di analisi e di discussione utilizzata nello studio del Talmud, spesso così esasperata da venire osteggiata da alcuni studiosi.
Pirqè Avot: Capitoli dei padri. Trattato etico della Mishnà contenente insegnamenti di maestri a partire dalla rivelazione sul monte Sinai fino al ii secolo e.v.
Pogrom: termine russo che significa "distruzione"; indica le sollevazioni popolari, con massacri e saccheggi, compiute tra il 1881 e il 1921 nella Russia zarista contro gli ebrei; di qui il significato più generale di "persecuzione sanguinosa di una minoranza" che la parola ha poi assunto.
Purim: Sorti, la festa che commemora la liberazione degli ebrei di Persia dal complotto ordito contro di loro da Haman, il primo ministro del re Assuero di Persia, nel v secolo a.e.v. ed è narrata nel libro di Ester. Si celebra il 14 di adar. È la festa più allegra del calendario ebraico, molto simile come spirito al carnevale cristiano.




Qabbalà (o Cabbala): Ricezione. Designa in particolare la tradizione mistica orale, e in seguito codificata in forma scritta, che, a partire dal secolo XII secolo e.v. sviluppa le tradizioni mistiche precedenti in un complesso sistema che sta anche alla base del chassidismo.
Qabbalat shabbat (pronuncia yiddish, Kabbolas Shobbos; lett. “accoglienza del sabato”): Cerimonia del venerdì sera che celebra l’inizio dello shabbat.
Qaddish (in aramaico “santo”): È una preghiera che glorifica il nome di Dio, recitata alla fine dell’ufficio sinagogale. È la più solenne e una delle più antiche preghiere ebraiche, probabile fonte del Padre nostro. Si recita in occasione di funerali e anniversari.
Qedushà (lett. “santificazione”): Secondo la Mishnà è la terza delle Diciotto benedizioni quotidiane. Formula liturgica, derivata da Isaia 6,3, pronunciata durante il culto pubblico dello shabbat e delle feste. Il Sanctus della tradizione cristiana.
Qeriat Shema‘: La recita dello Shema‘.
Qiddush (lett. “consacrazione”): Benedizione sul vino recitata la sera del venerdì per l’inizio dello shabbat e in altre occasioni festive.
Qiddush ha-Shem: Santificazione del nome di Dio, originariamente identificata con il martirio accettato in alternativa all’uso della violenza o all’apostasia, cioè alla profanazione del nome divino (chillul ha-Shem).




Rabbi o Rav: Maestro, rabbino.
Rabbi Nachman di Brazlav (1772 - 1811): Pronipote del Ba‘al Shem Tov (vedi), fondatore del chassidismo, e fondatore egli stesso della dinastia chassidica che porta il suo nome. Autore di racconti che s’iscrivono nella tradizione mistica dell’ebraismo, è considerato uno dei massimi maestri del chassidismo.
Ramban: Acrostico di Moshè Ben Nachman (1194 - 1270) conosciuto anche come Nachmanide. Insieme a Rashì e a Avraham Ibn Ezra (1089 - 1164) completa il quadro dei grandi commentatori ebrei medievali. rashi Acrostico di Rabbi Shelomò Izchaqì (1040 ca - 1105), il più autorevole commentatore medievale della Bibbia e del Talmud.
Rebbe (pronuncia ashkenazita dell’ebraico rabbi): Il capo di una comunità chassidica.
Rèmez Il significato intimo e allusivo della Torah. È uno dei quattro livelli di interpretazione, noti collettivamente come Pardès
Rosh ha-Shanà: Capodanno ebraico, celebrato il primo giorno del mese di tishrì in Israele, i primi due nella diaspora. Festa di carattere penitenziale, è caratterizzata dal suono dello shofar.
Ruach lett. spirito. È il secondo tra i cinque livelli dell'anima: la facoltà spirituale che vivifica gli attributi emozionali dell'uomo.




Shnorrer (yiddish): Accattone, scroccone.
Sèder (lett. “ordine”): L’ordine delle cerimonie e delle azioni che si svolgono durante la cena pasquale (per estensione indica anche la cena stessa nel suo insieme) celebrata la prima sera di Pèsach in Israele, nella diaspora anche la seconda. Significa „ordine" ed è la cena particolare con la quale si dà inizio alle festività della "Pèssach", la Pasqua ebraica. Scopo di tutti i riti del sèder è quello di mantenere vivo nel cuore degli ebrei l'Esodo dall'Egitto.
Sefardita (da Sefarad, “Spagna”): Spagnolo. Designa gli ebrei spagnoli e portoghesi e i loro discendenti presenti in molti paesi della diaspora.
Sefer Yetzirà Libro della Formazione. Forse il più antico dei testi di Cabalà. Si tratta di una serie di paragrafi molto concisi, riguardanti le corrispondenze tra le varieSefirot (non ancora menzionate coi loro nomi), le lettere dell'Alef Beit ebraico, e i vari settori della creazione, sia fisici che spirituali. Il suo studio è alla base degli insegnamenti forniti dalla nostra scuola.
Sèfer Torà (pronuncia yiddish, Seyfer Torà): Libro della Torà.
Sefirà - Sefiròt Attibuti Divini, emanazioni o manifestazioni. Ci sono dieci sefiròt divise in due categorie: sèchel, intelletto e middot, emozioni. Esse sono la fonte e il parallelo dei dieci poteri dell'anima umana. Proprio come l'uomo rivela se stesso, il suo carattere, la sua natura, attraverso i suoi attributi o meglio tramite ciò che li riveste - pensieri, parole e atti - ugualmente D-o rivela se stesso attraverso i suoi attributi, che sono le Sefiròt.
Ketèr Corona. Si tratta del livello che trascende i mondi ed è Corona delle Sefirot Si ideintifica con il Volere Supremo ed è ciò che unisce e collega e D-o. Chochmà saggezza, la prima tra le Sefirot. Chessed misericordia. Indica la Sefirà che si applica con amore e consente di dare al prossimo Binà intelletto. Uno dei poteri intellettuali primari. Ghevurà forza. Indica la Sefirà che si applica con la forza del severo giudizio. Tifèret Bellezza. Attributo cui si perviene tramite l'armonia e la verità Nètzach Eternità. Collegata direttamente con il Fondamento, indica la Sefirà a cui si uniscono, come attributi la vittoria e il dominio. Hod Gloria Collegata direttamente con il Fondamento, indica la Sefirà dello splendore e dell'empatia. Yessòd Fondamento la Sefirà più prossima a Malchùt. È come un canale che le precedenti devono passare per approssimarsi alla Presenza Divina. È il principio che include ogni cosa congiungendo cieli e terra e rendendo possibile il manifestarsi di tutte le emanazioni delle Sefirot: è il fondamento del creato. Malchùt Regno, sovranità. È la decima tra le Sefirot o Attributi Divini. Viene anche chiamata la "Parola di D-o" che crea e vivifica ogni esistenza. È lo strumento attraverso il quale il piano creativo originario di tramutò da potenza in atto in realtà manifesta. È la fonte della luce dell'En Sof che si espande ed illumina ogni entità individuale nel mondo e che finisce per identificarsi, dunque, con la Shechinà, la Presenza Divina.
Semikhà (lett. “imposizione [delle mani]”): Rito di ordinazione rabbinica a conclusione del ciclo di studi.
Shabbat (yiddish, shobbos, shabbos, shabbes): Sabato. Giorno di riposo in memoria del settimo giorno della creazione, in cui Dio stesso si riposò. Inizia il venerdì sera appena prima del tramonto del sole e termina il sabato sera, con l’apparizione della prima stella nel cielo. Durante questo intervallo di tempo l’ebreo praticante deve abbandonare tutte le sue occupazioni abituali per non pensare che a Dio. Tra i divieti dello shabbat (la legislazione rabbinica ne indica 39) si contano la cucina, il lavoro manuale, i viaggi, la scrittura, la transazione di denaro, il trasporto di oggetti all’esterno ecc. Parte della celebrazione è il Qiddush, la benedizione recitata sul vino e sul pane, all'inizio dei primi due dei tre pranzi festivi del Shabbat.
Shabbat Bereshit (lett. “sabato del Genesi”): Il sabato successivo a Simchat Torà in cui riprende il ciclo di lettura annuale della Torà.
Shacharit: Preghiera mattutina che comprende, tra le altre preghiere, la recita dello Shema‘.
Shadday: Convenzionalmente “Onnipotente”, uno dei nomi di Dio.
Shadkhan (yiddish shadkhen): Mediatore matrimoniale. Dato che i matrimoni ebraici tradizionali erano, nella maggioranza dei casi, mediati dai capofamiglia, lo shadkhan aveva un ruolo fondamentale come intermediario nella vita ebraica tradizionale di un tempo.
Shalom ‘Alekhem: “La pace su di voi”. Saluto tradizionale ebraico. Nella pronuncia yiddish (Sholem Aleichem) è il nome d’arte di Shalom Rabinovitch (Perejaslav, Ucraina, 1859 - New York 1916), il più celebre autore in lingua yiddish.
Shalom bayt: Pace della casa, pace domestica.
Shammash (pronuncia yiddish shames; “servitore”): Lo scaccino, il tuttofare della sinagoga.
Shavu‘ot: “Settimane”. Festività primaverile che in origine celebrava le primizie e la mietitura. Cade sette settimane dopo Pèsach (il 6 di siwan, anche il 7 nella diaspora) e commemora il giorno in cui venne data la Torà al popolo ebraico.
Shechità: Macellazione rituale secondo le norme previste dalla kasherut (vedi kasher).
Shekhinà: La Gloria divina nel suo aspetto immanente, la Divina presenza che ai tempi del primo Santuario risiedeva nel Santo dei Santi e che poi segue Israele ovunque, anche nell’esilio. Nella mistica ebraica indica anche il lato femminile di Dio.
Sheloshim: I primi trenta giorni di lutto che fanno seguito ai primi sette di lutto stretto, Shiv‘à, durante i quali ci si astiene dal taglio dei capelli e della barba, dall’indossare abiti nuovi ecc.
Shema‘ Yisra’el. adonay elohenu, adonay echad: La prime parole dell'espressione di fede ebraica formata da tre sezioni bibliche (Deuteronomio 6,4-9; 11,13-21; Numeri 15,37-41) e che inizia con le parole: “Shema‘ Yisra’el... Ascolta Israele. Il Signore Dio nostro, il Signore è uno”. Si recita due volte al giorno, mentre il primo versetto rappresenta l’ultima preghiera prima di addormentarsi e in punto di morte. Continua poi con le seguenti parole in Deutoronomio 6,4: "...il Signore è il nostro Dio, il Signore è l'Unico..." Questo verso, insieme ad altri in (Deutoronomio 6:5-9), sono diventati la preghiera per eccellenza del popolo ebraico, attraverso la quale viene messa in rilievo l'esortazione di dedicarsi a Dio e di consacrare a Lui la vita quotidiana. Un popolo di sacerdoti...
Sheminì ‘azèret: Festa dell’adunanza a chiusura delle celebrazioni autunnali, celebrata il 22 di tishrì. Nella diaspora rappresenta l’ottavo giorno di Sukkot.
Shevat: Undicesimo mese del calendario ebraico corrispondente al periodo lunare gennaio-febbraio.
Shiksa: Ragazza non ebrea.
Shiv‘à: Il periodo di sette giorni di lutto stretto che si osserva in casa del defunto, durante il quale gli amici vanno a trovare e confortano i parenti, i quali siedono scalzi su bassi sgabelli.
Shlemiel (yiddish). “Uno shlemiel”, dice la tradizione orale, “è uno che cade di schiena e si graffia il naso”. È lo sciocco, l’idiota del villaggio, lo stupido tradizionale.
Shmaltz (yiddish, dal tedesco schmalz, “grasso”, “materia grassa”): Presso gli ebrei dell’Europa dell’Est lo shmaltz, fatto con il grasso d’oca, sostituiva il burro sulle tartine. Ma, su un altro registro, shmaltz è soprattutto l’espressione consacrata del pathos, di una sentimentalità esagerata, di un discorso lacrimoso, un’emozione facile, una banalità insulsa che appesta ormai anche il mondo non ebraico.
Shoà: Termine di origine biblica che indica annientamento, una catastrofe improvvisa, individuale o collettiva, causata dall’ira di Dio o dalla ferocia di un nemico. Con esso si designa oggi la persecuzione e lo sterminio degli ebrei scatenata in Europa soprattutto dai nazisti di Hitler dalla fine degli anni Trenta e per tutto il periodo della seconda guerra mondiale, e culminata con l’annientamento di circa sei milioni di persone nei numerosi campi di sterminio situati principalmente in Germania e in Polonia. Nel mondo di lingua inglese si utilizza di preferenza il termine Holocaust.
Shochèt: Macellaio rituale che esegue la macellazione degli animali secondo le norme della shechità, che consistono essenzialmente nell’evitare la sofferenza all’animale e nel dissanguarlo completamente.
Shofar: Corno di montone o stambecco. Secondo la tradizione il suono dello shofar ricorda il sacrificio di Abramo (chiamato da Dio a immolare il figlio Isacco, sostituito all’ultimo istante da un ariete - Genesi 22,1-18) e annuncerà l’arrivo del Messia. Usato in alcune festività religiose (Rosh Ha-Shanà, Kippur) viene oggi impiegato in Israele anche per avvenimenti particolarmente solenni della vita civile.
Shofetìm (Giudici) Con il nome "giudici" la Bibbia cita le persone che durante il periodo che va da Giosuè ai Re (dal 1200 al 1025 a.C.), si opposero all’idolatria che dilagava tra il popolo, incoraggiandolo a servire solo Dio. Shofetìm è anche il titolo dell’omonimo libro dei Giudici, nel quale essi sono citati in ordine cronologico. L’ultimo giudice fu il profeta Samuele
Shul (yiddish, lett. “scuola”): Sinagoga.
Shulchan ‘arukh (lett. “tavola apparecchiata”): Codificazione di tutto il giure ebraico nei suoi più svariati aspetti. Opera del talmudista Joseph Caro (Toledo 1485 - Safed 1575).
Shtetl (yiddish, pl. shtetlakh): Diminutivo dal tedesco stadt, “città”. Cittadina, villaggio, specificamente delle comunità ebraiche dell’Europa orientale.
Siddur (“ordine”): Nel mondo di tradizione ashkenazita è il libro di preghiere che contiene la liturgia quotidiana e quella dello shabbat. Nel mondo sefardita tale formulario è detto tefillà.
Sidrah (lett. “ordine”, “sezione”, pl. sedarot): Sezione della Torà per la lettura liturgica settimanale (sinonimo di parashà). La Torà è suddivisa in 54 sedarot.
Simchat Torà (lett. “gioia della Torà”): Festa a conclusione del ciclo annuale di lettura della Torà, celebrata il 22 di tishrì (il 23 nella diaspora). Durante la celebrazione in sinagoga i fedeli portano in processione i rotoli della Torà girando sette volte intorno alla bimà.
Sionismo: il movimento politico-religioso inteso a ricostituire in Palestina una sede nazionale ebraica che offrisse agli ebrei dispersi nel mondo una patria comune (praticamente esauritosi con la proclamazione dello Stato di Israele, avvenuta il 15 maggio 1948).
Sitrà achrà (aramaico): L’Altra Parte (di Dio), la parte sinistra, cioè il potere demoniaco, satanico.
Siwan Terzo mese del calendario ebraico corrispondente al periodo lunare maggio-giugno.
Soferim (scribi) Prima dell'esilio, con la parola „scriba" era inteso una specie di funzionario di corte, che sbrigava la corrispondenza e la contabilità reale. Più tardi, gli „soferim" si specializzarono nella trascrizione della Torà, che effettuavano in maniera molto peculiare. Conoscevano tanto bene gli scritti sacri, che più tardi fu loro dato il nome di "dottori della legge". Ad essi risalgono alcune scuole, nelle quali si apprendevano a memoria la Torà ed altre parti delle Sacre Scritture.
Sukkà (pl. sukkot): Capanna. Indica anche il trattato della Mishnà che riguarda la festa di Sukkot.
Sukkot (lett. “capanne”): Festa che segue di cinque giorni lo Yom Kippur, dura dal 15 al 22 di tishrì, e si conclude con Simchat Torà. È prescritta la costruzione all’aperto di una capanna di frasche in cui consumare i pasti e pregare in memoria della permanenza del popolo di Israele nel deserto durante l’esodo dall’Egitto. Festa originariamente agricola, per la vendemmia e la raccolta dei frutti. In questa circostanza si utilizza il lulav, mazzo di frasche diverse, durante il culto e si legge Qohelet.




Tahor, Tahara - L'halacha stabilisce dei criteri di purità rituale. Chi risponde a questi criteri viene definito tahor, lo stato di purità rituale è detto tahara. Chi non risponde a questi criteri viene definito tame, in stato di tuma.
Tallit (pronuncia italiana, talled): Manto bianco spesso orlato di strisce nere o blu e con le frange rituali ai quattro angoli secondo il dettato di Numeri 15,37-41, indossato dagli uomini durante la preghiera del mattino. Gli osservanti ne portano costantemente uno più piccolo (tallit qatan) sotto gli abiti.
Ai quattro angoli del Tallit ci sono le frange o Tzitzit (vedi)
Talmid chakham Discepolo di un saggio o, nella tradizione rabbinica, il saggio stesso. Il talmid chakham rappresenta l’uomo ideale dell’ebraismo, colui che si situa alla sommità della scala gerarchica ebraica della stima.
Talmud (lett. “studio”): Riunisce la Mishnà e la Ghemarà e raccoglie l’insieme delle discussioni rabbiniche risalenti al periodo tra il IV e il VI secolo e.v. Ne esistono due redazioni: una più ampia e autorevole, Babilonese (che raccoglie oltre a materiale giuridico e normativo, anche leggende, vite di maestri, preghiere, detti, midrash ecc.); e una più breve, Palestinese o di Gerusalemme.
Tammuz: Quarto mese del calendario ebraico corrispondente al periodo lunare giugno-luglio.
Tanakh: Acrostico che indica l’insieme delle tre parti (i 24 libri sacri) della Bibbia ebraica. Ta.Nà.Kh, è la parola composta dalle iniziali di queste tre parti. La Bibbia, o Scrittura, (Mikrà) si divide in tre parti principali: il Pentateuco (Torà), i Profeti (Neviìm), gli Agiografi (Ketuvìm). La Torah è formata da 5 libri e per questo essa è anche chiamata Pentateuco. Fu scritta da Mosè su ispirazione divina e contiene le leggi del popolo ebraico e la sua storia fino alla morte di Mosè. I 5 libri sono: Genesi (Bereshìth); Esodo (Shemòth); Levitico (Vaikrà); Numeri (Bemidbàr); Deuteronomio (Devarìm).
Tanna - Tannaim: I Tannaim sono gli studiosi della Mishna, come gli Amoraim sono gli studiosi del Talmud.
Targum lett. Traduzione, Il termine si riferisce alla traduzione ufficiale e autorizzata del Chumàsh dall'ebraico all'aramaico che fu completata tra il I e il II secolo e.v. Viene anche chiamata Targum Onqelos, dal nome del proselita romano a cui viene attribuita l'opera.
Taref: Indica tutto ciò che non è kasher.
Tate, tatele, tatechi (yiddish): Papà, babbo. Cfr. Mame.
Tefillàh: Vedi siddur. Nella tefillàh (preghiera) gli ebrei (e non solo loro) si rivolgono a Dio, comunicano con Lui parlando ad alta voce, comunicandogli i bisogni le gioie ed i dolori. Nella cultura religiosa ebraica ci sono dei momenti particolari della giornata, nei quali il popolo deve rivolgersi a Dio in preghiera: la mattina, il pomeriggio e la sera. Per la preghiera gli uomini facevano e fanno ancora oggi uso dei tefillin
Tefillin: Filatteri. Piccoli astucci di cuoio contenenti quattro brani biblici (Esodo 13,1-10 e 13,11-16; Deuteronomio 6,4-9 e 6,13-21) scritti su pergamena, che vengono legate sul braccio sinistro e sulla fronte dell’ebreo maschio adulto (dai tredici anni) durante la preghiera dei giorni feriali, secondo un’interpretazione letterale di Deuteronomio 6,8. I teffilim sono usati durante i periodi di preghiera. La pelle deve assolutamente provenire da animali ritualmente puri
Tehillìm (lett. lodi): Salmi Il testo raccoglie 150 canti liturgici, composti in epoche diverse da dieci autori.
Teshuvà (pentimento e ritorno a D-o) costituisce il tema principale del libro di Giona e quello del digiuno di Kippùr (il giorno dell’espiazione). Per questa ragione la storia di Giona viene letta come haftarà nella funzione pomeridiana di Minchà. La parola è generalmente tradotta « pentimento » ma « ritorno » è preferibile, dipingendo l'anima che torna indietro al D-o accogliente dal quale aveva deviato.
Tevà: Vedi bimà.
Tevet Quarto mese del calendario ebraico corrispondente al periodo lunare dicembre-gennaio.
Tikkùn - tikkunìm Lett: riparazione, correzione. Concetto mistico che indica la restaurazione dell’originario ordine cosmico. Rituali che si leggono in particolari ricorrenze, quali Shavu'ot, il settimo giorno di Péssach e il settimo di Sukkòt. Il termine designa anche alcune parti dello Zohar
Tish‘à be-av (lett. “nove di av”): Giorno di digiuno in commemorazione delle distruzioni del primo e del secondo tempio di Gerusalemme, avvenute l’una nel 587-586 a.e.v. e l’altra nel 70 e.v., Esso ricorre nel nono giorno del mese di AV. Questo è un giorno di particolare digiuno. Si comincia a digiunare già al tramonto dell'otto di Av (la vigilia), e nella sinagoga viene letto il testo del libro delle "Lamentazioni". Questo particolare evento viene ricordato regolarmente dagli ebrei. Durante gli ultimi decenni gli ebrei si recano a pregare presso il muro del pianto.
Tishrì: Primo mese del calendario ebraico corrispondente al periodo lunare settembre-ottobre. Secondo la tradizione rabbinica il primo giorno di questo mese fu creato Adàm, il primo uomo.
Torah (lett. “insegnamento”, “legge”): È la legge data da Dio a Mosè sul monte Sinai. La Torà scritta consiste nei primi cinque libri della Bibbia (Pentateuco): Bereshìt (in principio) Genesi; Shemòt lett. Nomi Esodo; Vayikrà e [D-o] chiamò Levitico; Bemidbar lett. nel deserto Numeri; Debarim lett. parole Deuteronomio. La Torà orale è la tradizione dei maestri raccolta nelle opere della letteratura rabbinica e mai conclusa. Si può studiare la torah a quattro livelli, detti collettivamente Pardès. Secondo il significato letterale: Peshàt; secondo il significato intimo e allusivo: Rèmez; secondo le spiegazioni allegoriche, omiletiche o esegetiche: derùsh; penetrando il significato più profondo e nascosto: Sod.
Tosafot (pronuncia yiddish, tosefos; lett. “aggiunte”) Glosse marginali di commento al testo talmudico di Rashì a opera dei suoi discepoli.
Tzaddiq (lett. “giusto”, pl. tzaddiqim): Nella tradizione chassidica indica il maestro, la guida spirituale di una cerchia di chassidim di un determinato luogo, per esempio il Gerer, cioè il rabbi di Ger; il Lubavitcher, cioè il rabbi di Lubavitch.
Tzitzit: Fiocco o frangia che, secondo il comando di Numeri 15,37-41, si porta attaccato ai quattro angoli del tallit o a uno scapolare (tallit qatan). Queste lunghe frange sono fatte con la seta, con il lino o la lana se il Tallit è di lino o di lana. Sono quattro fili doppi e annodati, uno è azzurro o viola; ricordano le quattro lettere del Nome Santo di Dio, il sacro tetragramma:





Ukatzìn impurità dei vegetali




Vayikrà e [D-o] chiamò Levitico. Il libro del Pentateuco dal contenuto prettamente legislativo






Yah Ribbon ‘Olam (pronuncia yiddish Yoh Ribbon Olom) “Signore, padrone dell’universo”; inizio di un inno sabbatico composto da Isra’el ben Mosheh Najara.
Yarmulka Vedi kippà.
Yechidà Il quinto e più alto livello dell'anima, che si eleva unico rispetto agli altri
Yeshivà: Scuola di studi talmudici; accademia rabbinica. Yeshivot - centri spirituali per la formazione teologica di maestri e rabbini. La storia ebraica ha sempre avuto simili scuole o centri, ed il loro numero è stato sempre rilevante. Attualmente esistono yeshivot (plurale) in tutte le grandi città del mondo, che ospitano comunità ebraiche. Anche Gerusalemme attraversa ancora oggi fasi, nelle quali viene molto discusso sull'apertura di nuove yeshivot, cosa non molto gradita agli abitanti di altre confessioni.
Yid (yiddish): Ebreo. Un uomo, è sottinteso, nel vero senso del termine.
Yiddish: Lingua parlata dalla maggioranza degli ebrei ashkenaziti (di origine tedesca). Nel suo stadio più antico è una varietà del Mittelhochdeutsch, con elementi lessicali ebraici, slavi e neolatini e viene scritto in caratteri ebraici.
Yiddishkeit: Lo spirito yiddish. Tutto ciò che ha a che fare con lo yiddish (cfr. il suffisso tedesco -keit che designa i sostantivi astratti, in italiano yiddishità, se così si può dire), che ne deriva, che ne fa parte integrante.
Yom ha-‘Atzma’ut: Festa celebrata il giorno 5 del mese di iyyar che commemora l’indipendenza dello stato d’Israele proclamata il 14 maggio 1948 e definita dal rabbinato festa religiosa.
Yom Kippur (lett. “giorno dell’espiazione”): Giorno di digiuno e di preghiera per la espiazione e il perdono delle colpe, celebrato il 10 del mese di tishrì. In questa sola occasione il sommo sacerdote nel tempio pronunciava il nome di Dio all’interno del Santo dei santi. Attualmente in sinagoga la celebrazione prevede una solenne confessione dei peccati e il suono dello shofar.
Yom tov: Giorno di festa.




Zaftig (yiddish): Detto di donna dalla corporatura formosa.
Zemirà (pl. zemirot): Inni, canti, che si recitano durante i pasti dello shabbat.
Ziòn Una delle colline di Gerusalemme e, per estensione, Gerusalemme intera e la terra promessa.
Zòhar: Splendore. Opera principale della Qabbalà, scritta in aramaico. Considerata dai mistici ebrei un libro sacro e attribuita tradizionalmente a rabbi Shimon Ben Jochay (II secolo e.v.), è probabilmente opera di Moshè de Leon (XIII secolo).




http://www.nostreradici.it/glossario.htm

MEETING 30/ 2. O’Callaghan: la mia scoperta sui Vangeli di Qumran

MEETING 30/ 2. O’Callaghan: la mia scoperta sui Vangeli di Qumran
Redazione
mercoledì 19 agosto 2009


Eccellentissimi signori e cari amici, anzitutto desidero esprimere la mia gratitudine agli organizzatori di questo importante "Meeting per l’amicizia tra i popoli", per l’onore che mi è stato fatto di concludere le riunioni con le mie modeste parole, a riguardo della mia identificazione di un frammento di papiro, della grotta 7 di Qumran come un pezzo del vangelo di Marco 6, 52-53.


In questa occasione chiedo che mi si permetta di fare un po’ di storia dei miei lavori di identificazione. Devo confessare che non avevo mai avuto la pretesa di rintracciare un frammento neotestamentario, nella grotta 7 di Qumran. Il mio contatto con questa grotta si dovette al fatto che stavo redigendo un catalogo dei papiri greci dell’Antico Testamento. Poiché in quella grotta erano già stati identificati due papiri della LXX, dovevo interessarmi di quelli, e così sono entrato nella grotta 7 di Qumran.



Diciannove sono i frammenti rintracciati in questa grotta. In realtà i pezzi di papiro sono ventuno, ma il numero diciannove comprende tre blocchi di terra grigiastra mescolata con ghiaia e solidificata, sopra la quale i frammenti di papiro hanno lasciato la loro impronta, come conseguenza di un prolungato contatto. Pertanto il bilancio di questa grotta è alquanto insignificante e, all’apparenza, di scarsissimo interesse letterario. Senza alcun dubbio c’è qualcosa di molto importante di cui tener conto: tutti i frammenti sono di papiro e per di più scritti su di una sola facciata. Conseguentemente si tratta di pezzi di rotolo e non di codice, il che depone a favore dell’antichità dei frammenti.



Fra tutti i papiri di questo modesto insieme attirò la mia attenzione particolarmente quello catalogato col numero cinque. Devo confessare, come umile figlio di Sant’Ignazio di Loyola, che ho la mia "passione dominante". Essa consiste, nell’ambito della mia specializzazione, nell’identificazione di piccoli frammenti disparati. In questa occasione mi lasciai trasportare di nuovo da questa mia curiosità scientifica e, in conformità con l’edizione ufficiale, supposi che si trattasse di una genealogia. Effettivamente nella linea quattro del detto frammento si legge: nnes, che potrebbe verosimilmente esser parte della parola egennesen, la cui radice, anche nelle nostre lingue, significa generare. Dopodiché, con pazienza di certosino, rintracciai tutti gli innumerevoli passi dell’Antico Testamento in cui si sarebbe potuto trovar testimonianza della detta radice, ma mi vidi obbligato a desistere, poiché in nessuno di essi si trovava la concordanza di lettere che rendesse accettabile l’identificazione.



Ero sul punto di abbandonare il mio impegno di identificazione di detto frammento, quando, più per reagire alla delusione del momento che per vera convinzione scientifica, osai verificare se nel Nuovo Testamento potesse esserci qualcosa di corrispondente ai frammenti conservati in questo papiro. Anche la ricerca genealogica nel Nuovo Testamento si rivelò infruttuosa. Tuttavia ad un certo punto mi venne l’intuizione di supporre che il gruppo nnes avrebbe potuto far parte della parola Gennesaret, però il lago o territorio di Gennesaret si incontra una sola volta in tutto l’Antico Testamento: primo dei Maccabei 11, 67.



Per contro nel Nuovo Testamento incontrai un passo nel quale esisteva una corrispondenza perfetta sia al gruppo delle lettere di Gennesaret, sia alle altre caratteristiche del detto frammento di papiro: uno spazio di separazione nella linea tre per dividere due sezioni del testo, la seconda delle quali con inizio kai (equivalente alla congiunzione copulativa e). Effettivamente in Marco 6, 52-53, col versetto 52 termina la narrazione del miracolo di Gesù che cammina sulle acque e con il versetto 53 inizia quella delle guarigioni di Gennesaret. Si tenga presente che questo nuovo periodo comincia con la congiunzione e, peculiare dello stile di Marco. Il frammento che viene riferito è il seguente: «In realtà non avevano ben capito il fatto dei pani, perché il loro cuore era indurito» (versetto 52). Il versetto 53 inizia così: «E avendo concluso la traversata giunsero a Gennesaret e sbarcarono».



Personalmente cercai di dimenticarmi di questa identificazione perché la consideravo io per primo inaccettabile. E dopo aver lavorato nella biblioteca del Biblico, tornai nella mia stanza, nella quale poco dopo entrò un mio collega tedesco, a cui timidamente proposi la possibilità di aver rintracciato un papiro di Marco databile all’anno 50. Immediatamente mi interruppe dicendomi: «È impossibile!». Mi mancava solo questo per perdere ogni coraggio; lasciai il mio lavoro ed andai ad ossigenarmi per le bellissime strade della Roma antica. Non volevo più pensare alla ventura corsa circa la recente identificazione.



Non volevo più pensare, ma di fatto non potevo evitarlo. E se per un caso fortuito tutto quello era vero? Io proseguivo nei miei lavori accademici all’Istituto Biblico, le mie lezioni, i miei seminari, ma quasi un’ossessione si impadroniva di me a cui resistevo. Infine dopo una settimana tornai con maggior calma a verificare l’identificazione e di nuovo riscontrai la coincidenza di lettere ed altri aspetti paleografici con il frammento di Marco. Poi andai a trovare quello che allora era Rettore del Biblico, attualmente Cardinale e Arcivescovo di Milano, Mons. Carlo Maria Martini, a cui proposi la mia possibile identificazione. In quel momento egli aveva una riunione, ma mi chiese che gli presentassi una sorta di bozza del mio lavoro, manifestando, come era ovvio, una certa sfiducia nella mia ricerca.



Il giorno seguente, era domenica, lo ricordo perfettamente dato che stavo lavorando nella mia stanza, mi si presentò in camera con la bozza che gli avevo consegnato e con molta circospezione e prudenza scientifica mi propose obiezioni al mio lavoro a cui era necessario che rispondessi. Dopo questa conversazione Mons. Martini decise che il mio lavoro fosse sottoposto alla supervisione di svariati docenti del Biblico, i quali non opposero alcuna seria difficoltà alla pubblicazione del mio articolo. Con grande prudenza e circospezione scientifica Mons. Martini, ascoltato il parere favorevole dei miei colleghi del Biblico, volle conoscere l’opinione di un eminente specialista di papirologia dell’Università italiana. Perciò andai a Trieste a confrontare i miei lavori con il Professor Sergio Daris, a cui una volta di più sono grato per la gentilezza e per la competenza.



Discutemmo l’argomento circa sei ore e, dopo il suo parere favorevole, ritornai a Roma. A questo punto il Rettore del Biblico autorizzò la pubblicazione dei miei lavori, che furono pubblicati fra le ipotesi, come un suggerimento scientifico, data l’estrema delicatezza dell’argomento in essi trattato.

Immediatamente dopo la pubblicazione del mio articolo nella Rivista Biblica, l’organo scientifico del nostro Istituto Biblico, lasciai Roma ed andai a Barcellona per evitare l’assalto dei giornalisti.



Ma due giorni dopo il mio arrivo nella città, dove desideravo rimanere ignoto a tutti, mi si presentò un gruppo della televisione Nord-Americana, che voleva farmi un’intervista per gli Stati Uniti. Da quel momento tutto fu un calvario per me, che sono un uomo tranquillo e dal lavoro nascosto. Subii innumerevoli interviste di giornalisti spagnoli e stranieri che non sempre, nonostante la loro buona volontà, espressero nelle loro cronache ciò che il povero specialista diceva, e che non poche volte, alla ricerca del sensazionalismo del momento, esageravano oltre ogni misura. Oggigiorno è impossibile evitare l’intromissione dei mezzi di comunicazione sociale, ma perché vi rendiate conto dell’obiettività dell’informazione, posso ricordare un giornale della sera di Barcellona che, con grandi titoli, annunziava ai quattro venti: "Padre O’Callaghan ha scoperto un papiro di Marco anteriore a Gesù Cristo (!!!)". Noi che lavoriamo in campo scientifico siamo uomini che di solito amiamo la nostra intimità e preferiamo essere lasciati in pace con i nostri pensieri ed indagini. Disgraziatamente nel mio caso fu tutto il contrario. In molte parti del mondo si diffuse la notizia e frequentemente con evidenti esagerazioni ed imprecisioni incommensurabili.



Le reazioni nel mondo culturale seguirono tre orientamenti ben definiti: gli entusiasti della mia identificazione, gli indifferenti che con giusta prudenza cercavano di saperne di più per decidere ed infine i nemici acerrimi la cui posizione io ho sempre rispettato quantunque talvolta abbia lamentato che gli attacchi non si siano mantenuti ad un livello strettamente accademico. È fuori di dubbio che quando si propone una teoria scientifica nuova, opposta ad una opinione universalmente accettata, è necessaria una adeguata polemica per chiarire gli elementi che si propongono nella teoria e verificare se la proposta scientifica stia a galla oppure no; per questo esprimo il mio ringraziamento a quanti con i loro apporti contribuirono a chiarire la mia teoria.



Attualmente sono passati già molti anni, quasi 20, dal momento in cui comparve la mia proposta. Molti articoli sono stati pubblicati e si sono fatte molte verifiche informatiche per dimostrare la legittimità delle mie proposte. Credo con buona coscienza di poter dire che la mia umile proposta conserva la sua iniziale validità e ricorderò qui le parole del Professor Carsten Peter Thiede nella sua benemerita opera: «In base alle regole del lavoro paleografico e di critica testuale, è certo che 7Q5, la sigla del papiro della grotta 7 di Qumran, è Marco 6, 52-53, il più antico frammento conservato di un testo del Nuovo Testamento, scritto attorno al 50, e sicuramente prima del 68». E che il passo come tale non provenga da una raccolta formata prima di Marco, ma presupponga un vangelo già completamente terminato, era già stato affermato giustamente dallo stesso Kurt Aland, prima che cercasse di confutare l’identificazione del frammento senza tener conto delle sue principali caratteristiche.



Anche in questo caso non dobbiamo prescindere da un periodo di trasmissione orale precedente la formazione dei vangeli ma, come correttamente annota il Card. Martini, «sarebbe forse necessario considerare il tempo della “tradizione orale” del materiale evangelico come un po’ meno lungo di quanto non si supponesse oggi da parecchi critici. Così, pur senza mutare il quadro sostanziale che riallaccia l’origine dei vangeli ai ricordi degli apostoli e alla loro predicazione orale, si potrebbe pensare ad esempio che si cominciò a mettere per iscritto tale predicazione già durante il secondo decennio dopo la morte di Gesù».



Possiamo a questo punto chiederci: "A che punto è, attualmente, l’accettazione della mia teoria?". Posso dire che il prossimo mese di ottobre, nell’Università cattolica di Eichstätt in Germania, si terrà un simposio internazionale in appoggio alla mia proposta. Fino a questo momento sono già tredici i professori che hanno promesso la loro presenza e che proporranno comunicazioni sopra la questione del 7Q5. Senza stare a citare i nomi, posso con certezza nominare le Università o i centri di studio che saranno rappresentati limitandomi a citare le città: Bonn, Eichstätt (due docenti), Gerusalemme, Lucerna, Monaco, Offenburg, Tubinga (due docenti), Uppsala, Vienna, Wupertal, Princeton (USA). Si aspettano ancora altre collaborazioni, ma dato che non sono sicure preferisco non nominarle. Mi permetto di citare alcune parole di Tommaso Ricci su questo simposio: «Il prossimo ottobre, nel cuore della Baviera, attorno alla sigla 7Q5 si daranno battaglia studiosi di ogni parte del mondo. Una battaglia il cui sottofondo è molto di più che una questione di papiri e di date».



E qual è questo sottofondo che supera aspetti cronologici e paleografici? La vera questione di tutta questa problematica è la seguente: se la tradizione orale è molto lunga, le impressioni che gli uomini vanno trasmettendosi corrono il pericolo di modificare la realtà degli avvenimenti iniziali: questo lo sappiamo per esperienza personale. Si tende ad esagerare peggiorando o migliorando la figura del personaggio in oggetto e così, trattandosi di Gesù, un uomo di doti umane straordinarie (questo l’accettano tutti), dopo una serie di mutamenti di impressioni e trasmissione di avvenimenti della sua vita, quell’uomo si trasforma a poco a poco in un Dio e si passa da una categoria umana fuori serie ad un piano di divinità nel quale Cristo non è soltanto un uomo ma anche Dio. Conseguentemente la divinità non si afferma in virtù di credenziali originarie ma per dilatazione di racconti formatisi nella primitiva comunità cristiana. Per contro, se ora abbiamo un papiro di Marco dell’anno 50, risulta che solo a pochi anni dalla sua morte ci viene riferito dei miracoli del Signore da parte di autori che l’hanno visto personalmente o almeno ne hanno udito parlare da testimoni oculari o auricolari.



Credo che a questo proposito risultino molto opportune le parole del Professor Albert Vanhoye, ex Rettore dell’Istituto Biblico ed attuale Segretario della Pontificia Commissione Biblica: «Come sempre purtroppo accade, ogni volta che ci si avvicina alle fonti che storicamente provano la verità della fede, si grida allo scandalo; e tutte le volte invece che le ricerche dicono il contrario vengono accolte con grandissimo favore. Le critiche che O’Challaghan dovette subire, furono tremende. Le sue scoperte indispettirono molto i biblisti: era dato per scontato che dalla morte di Cristo alla stesura del Vangelo di Marco, fossero passati quarant’anni. Scoprire invece che ne passarono meno di venti, manderebbe all’aria tutta l’esegesi neotestamentaria».



Sembra conveniente concludere con le giuste parole del mio collega del Biblico, Professor Ignace de la Potterie: «La distinzione dell’esegesi moderna fra il Cristo della fede e il Cristo della storia verrebbe messa in crisi. E teniamo presente che il Vangelo di Marco è quello che più esalta la divinità di Cristo con la sua potenza miracolosa».



È opportuno ormai che ponga fine alle mie povere parole, ringraziandovi per la vostra amabile attenzione. Devo dire che per me è una grande consolazione poter rivolgermi a questa grande assemblea, dove ci sono tanti giovani. Il titolo del Meeting di quest’anno affronta il tema della libertà della persona, che nel Cristianesimo raggiunge la sua piena realizzazione, ed è precisamente a Cristo che dobbiamo questa totale liberazione. Personalmente, dopo lunghi anni di silenzio e incomprensioni, sono molto contento che i miei lavori ci permettano di avvicinarci al Cristo amico. Non ho mai preteso di fare apologetica nelle mie ricerche, non posso però nascondere la mia soddisfazione, perché i miei lavori e fatiche hanno potuto servire a conoscere meglio la straordinaria figura del Dio incarnato, Gesù di Nazareth.



(José O’Callaghan, Meeting di Rimini 1991)


http://www.ilsussidiario.net/articolo.aspx?articolo=35134